Malamovida a Livorno: perché l’orario delle 1.30 divide prefetto e sindaco — e fa arrabbiare i residenti

La questione della malamovida livornese, in particolare quella di via Cambini, continua ad accendere il dibattito cittadino. Da settimane si fronteggiano due visioni: quella del prefetto Giancarlo Dionisi, che considera la situazione ormai critica dal punto di vista della sicurezza pubblica, e quella del sindaco Luca Salvetti, intenzionato a intervenire ma con strumenti e orari che non coincidono con le richieste della Prefettura. A farne le spese, come sempre, sono i residenti, che si dicono esasperati e incapaci di comprendere la logica di una via così piccola trasformata in “discoteca a cielo aperto” fino a tarda notte.


Il monito del prefetto: via stretta, flussi ingestibili, serve una stretta vera

L’intervento del prefetto nasce da un dato oggettivo: via Cambini è troppo stretta e troppo centrale per reggere migliaia di persone accalcate fino alle due del mattino.
Il tema non è solo il rumore: è la sicurezza pubblica, con implicazioni che vanno dal rischio di incidenti alla difficoltà per forze dell’ordine e soccorsi di entrare nella via in caso di necessità.

Dionisi ha dunque chiesto:

  • numero chiuso e controllo degli accessi,
  • sistemi di contapersone,
  • più vigilanza e pattuglie coordinate,
  • limitazioni sulla vendita e sull’asporto di alcolici,
  • e soprattutto orari più stringenti, compatibili con la dimensione fisica della via.

La posizione della Prefettura è chiara: mantenere un’attività notturna intensa in una via tanto ridotta è “un rischio non più sostenibile”.


La risposta del Comune: ordinanza in arrivo, ma con orari più morbidi

Il Comune sta preparando un’ordinanza che, stando alle anticipazioni, prevede la chiusura dei locali all’1.30 nel fine settimana e alle 00.30 negli altri giorni.
Una scelta che mira a dare un segnale, senza però arrivare alle misure drastiche richieste dalla Prefettura.

Il provvedimento includerà anche:

  • stop alla musica prima della chiusura,
  • limitazioni sull’asporto di alcol,
  • un rafforzamento della presenza della polizia municipale,
  • videocamere e pulizie straordinarie.

Il sindaco Salvetti rivendica la volontà di “bilanciare i diritti di tutti”: i giovani, i lavoratori del settore, ma anche i residenti.


La rabbia dei residenti: “Perché perseverare nell’errore?”

Se lato istituzionale regna il disaccordo, quello dei residenti è molto più netto.
Molti non capiscono quale sia il senso di consentire a una via minuscola, pensata per il passeggio o per la convivialità serale, di diventare un polo di intrattenimento notturno.

Le loro obiezioni principali sono tre:

  1. La via non lo permette fisicamente.
    Gli affollamenti sono ingestibili e mettono a rischio tutti.
  2. L’orario delle 1.30 è un compromesso apparente.
    Per molti è già di per sé incompatibile con un luogo così angusto e densamente popolato.
  3. Il rischio di una contro-mossa del prefetto.
    Se l’ordinanza comunale venisse giudicata inefficace, il prefetto potrebbe adottare misure ben più drastiche — e gli esercenti virtuosi ne sarebbero i primi danneggiati.

La domanda che si fanno in molti è semplice:
vale davvero la pena di prolungare le attività di un’ora e mezza per rischiare poi restrizioni molto più dure?


Il nodo politico: sicurezza urbana vs libertà economica

La vicenda mette in luce un tema più ampio: chi ha realmente la responsabilità della sicurezza urbana?
Il prefetto richiama l’urgenza e l’emergenza dell’afflusso; il sindaco rivendica il diritto di normare tempi e modi della vita economica cittadina. Ma nella pratica le due visioni si scontrano.

Al fondo resta la questione più delicata: fino a che punto un’amministrazione deve favorire il business notturno, se questo incide pesantemente sulla vivibilità, sul riposo, sulla sicurezza e sul decoro urbano di chi quella via la abita tutto l’anno?


Conclusione: una mediazione fragile

L’ordinanza comunale appare come un tentativo di mediazione, ma rischia di essere percepita come un passo a metà: troppo blanda per chi chiede sicurezza, troppo restrittiva per chi vive di movida.
E soprattutto rischia di non risolvere il nodo centrale: la capienza reale della via.

La “malamovida” di via Cambini non è una questione di movida in sé, ma di proporzioni: quando lo spazio urbano non è compatibile con certi volumi, né misure parziali né compromessi orari possono realmente funzionare.

La sensazione dei residenti — e non solo — è che si stia cercando di far convivere due cose che convivere non possono:
una via stretta e un polo notturno di massa.

E prima o poi, inevitabilmente, qualcuno dovrà scegliere.

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