La tamerice di Fattori vandalizzata non è soltanto l’ennesimo episodio di inciviltà. È il simbolo di un problema più profondo, che riguarda l’intero tessuto sociale. Quel gesto – apparentemente isolato – riflette un degrado culturale che da tempo alimenta dinamiche disfunzionali e ferisce la città più di qualunque danno materiale.
Alla base di questi comportamenti c’è spesso una combinazione di fattori: famiglie sempre più assenti o in difficoltà nel ruolo educativo, una presenza istituzionale percepita come debole, la crescente convinzione che qualsiasi forma di disciplina sia una violazione e non uno strumento di crescita. A questo si aggiunge la difficoltà per le forze dell’ordine di esercitare pienamente il proprio ruolo, frenate dal timore di contestazioni e ripercussioni.
Un ulteriore elemento critico è la distorsione del reale favorita dalla vita “social”: un universo parallelo che disincentiva la responsabilità, amplifica l’esibizionismo e impoverisce la capacità di relazione autentica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: comportamenti antisociali normalizzati, provocazioni verso l’autorità percepite come “coraggio”, assenza del senso del limite. Situazioni che, fino a qualche decennio fa, sarebbero state eccezioni; oggi rischiano di diventare la regola.
Il crescente senso di impunità – figlio di molteplici cause – ha modificato profondamente le dinamiche sociali. Ha polarizzato i conflitti, indebolito la capacità critica e creato un clima in cui fenomeni come la malamovida non sono altro che la conseguenza naturale di una deriva già in atto.
La ferita alla tamerice è un gesto piccolo nella forma, ma grande nel significato. Come una pianta danneggiata nelle sue radici, anche una comunità può perdere la propria linfa vitale se non affronta con serietà i problemi che la attraversano.
È il momento di riconoscere ciò che questo episodio rappresenta: non un incidente isolato, ma un campanello d’allarme. E di decidere, come città, se vogliamo limitare i danni o finalmente curare le radici.
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